FRANTIC FEST
I giorni a cavallo di Ferragosto, nelle calde atmosfere della costa abruzzese, da alcuni anni a questa parte può volere dire solo una cosa: Frantic Fest. Nella ormai consolidata location del Tikitaka Village di Francavilla al Mare, l’appuntamento diventa quindi fisso per gli appassionati del metal prevalentemente estremo, ma comunque aperto a varie sfaccettature, soprattutto del centro Italia, ma accolto anche da fan provenienti da molte parti d’Italia che uniscono vacanze al mare e voglia di sfogarsi davanti ad una bella fila di casse sparate a tutto volume. Il festival, giunto alla sua settima edizione (al netto dell’edizione 2021 del Frantic Party limitato ad una sola serata), anche quest’anno è stato organizzato nel migliore dei modi, grazie al grande lavoro dei ragazzi dello Scumm, di No Sun Music, di ERocks Productions e di tutta una serie di validi collaboratori che coprono tutti i punti più strategici della location. A ciò si unisce un’offerta più che adeguata di stand sia di musica e letteratura, che di food&drinks di alta qualità, nel pieno rispetto della tradizione culinaria abruzzese. Ma la protagonista principale, come è giusto che fosse, rimane la musica, quella senza compromessi e senza troppi limiti, ed anche quest’anno l’offerta è risultata particolarmente adeguata e all’altezza.
Come di consueto, la tre giorni di metallo è anticipata dall’Opening Party del mercoledì, quest’anno interamente incentrato su una figura come quella di Giancane, fuori dal panorama metal, ma nemmeno troppo, e che unisce rock, punk e sana goliardia in un connubio divertente e ironico. Un prologo che risulta particolarmente simpatico, grazie ad un artista che è sempre stato tra i beniamini della zona laziale-abruzzese.
GIOVEDI' 14 AGOSTO
Inizia il caldo pomeriggio all'interno del Tent Stage in compagnia dei veneti Die Sünde, un nome che piano piano sta salendo alla ribalta dell'underground italiano con il loro post-metal venato di black, in cui gli insegnamenti di gruppi come Amenra si fanno sentire. Molto convincente la prova alla voce di Michael Anthony Foti, capace di distribuire registri vocali sempre votati all'estremo, ma con diverse sfumature.
Si passa poi ad un black metal più tradizionale, ma rivolto verso la contemporaneità, come quello degli Amalekim. Essendo black, l'incedere rimane incessante e molti passaggi risultano sempre belli dritti. Le voci si alternano in maniera giusta e con le correte tempistiche, e i tagli chitarristici risultano definiti. Una buona performance che conferma l'ottima crescita della band.
Da Barcellona arriva questa proposta molto interessante in cui spaziano diversi andamenti che vanno dal metal atmosferico al doom, passando per la psichedelia viaggiante e il folk rock. La voce di Wildman risulta molto calda e le trame di chitarra, assieme alle note di tastiera, si muovono in un percorso carico di atmosfera. Una band, quella dei Todomal, da seguire attentamente.
Non c'è bisogno di presentazioni per una band come i genovesi Necrodeath che quest'anno compie 40 anni di carriera e che, al contempo, si sta congedando con grande dignità, come testimoniato anche dalle parole dei fondatori proferite nell’intervista al podcast ‘Si Stava Meglio Quando Si Stava Metal’, e mettendo in mostra in prima fila tutto il loro credo tradotto in anni e anni di discografia sempre votata al death più diretto. Flegias, Peso e compagni non accettano compromessi e viaggiano a tutta con i brani tratti dall'ultimo, definitivo, album e da tutta la loro discografia. Li potremo salutare con merito nelle date conclusive della loro carriera.
Nel Tent Stage si rimane in territorio death, ma si alzano i volumi al massimo per una proposta che comprende autentiche badilate sui denti e tecnicismi mai fini a sé stessi, ma sempre ben confezionati nella struttura dei brani che racchiudono completamente una visione del genere assolutamente da panzer. Il live dei Replicant è scarica di adrenalina e di voglia di menare pugni in faccia in maniera assolutamente liberatoria.
Casino era previsto e casino è stato, dinanzi ad un nome che, nonostante le ultime tristi vicissitudini, ha dimostrato di rimanere sempre in piedi e, anzi, di saper rinnovare e rincarare la dose, sempre nel nome di un hardcore punk dedito alla goliardia. Prestazione impeccabile dal punto di vista del coinvolgimento, ma non avevamo paura di smentite con i Brujeria.
A differenza dei compagni di tour Replicant, i Pyrrhon risultano invece molto più tecnici, più ragionati, e comunque piuttosto diretti, anche se questo loro maggiore tecnicismo rende la loro proposta maggiormente incline a ulteriori approfondimenti, dimostrandosi in prima battuta probabilmente più ostici e comunque non particolarmente immediati. Tuttavia, le qualità non mancano.
Entra in scena sul Main Stage il primo headliner del Frantic, anch'egli un artista che non abbisogna di presentazioni nell'ambito black metal, che oltre alla sua carriera negli Emperor, ha costruito una buona proposta solista spaziando tra generi diversi, ma piuttosto complementari al black. Il concerto di Ihsahn è quindi pregno di Sonorità prevalentemente progressive, non tralasciando comunque frammenti di black mai fin troppo abbandonato. La prestazione sua e della band si dimostra comunque buona, spaziando tra brani dell'ultimo album omonimo e brani piu datati, nonostante alcune sbavature soprattutto nella resa della voce. Un plauso alle ottime doti del batterista, molto preciso e tecnico. Nel complesso, tuttavia, i brani non hanno trasmesso molte emozioni.
Ad un tratto sbuca nel Tent un'alleanza famigliola giapponese, tutta bardata di face pianting comprese le due bambine a supporto, che non sembra ma si sono dimostrate efficaci nella riuscita del concerto. I Sigh sono un autentico culto del metal estremo, a cavallo tra black ed heavy metal classico. Una performance in cui a farla da padrone sono tutti i componenti della band, tra voci estreme assolutamente convincenti e strutture musicali telluriche, in un vortice di suoni in cui il leader Dr. Mikannibal fa da direttore d'orchestra con il suo piglio cerimoniale. Uno show iperattivo e sorprendente.
Da sempre reputato come "nouvelle vague" del metal estremo, in realtà Zeal and Ardor è qualcosa di più e di oltre. Groove metal, black metal, r'n'b, soul music e grande impatto, sono le sfaccettature che compongono l'intero set, con le tre voci assolutamente in sintonia e una band che sul palco sembra volteggiare in stato di grazia. Anche per loro, un set trascinante, testimoniato dall'ottima reazione del leader della band, estremamente compiaciuto.
Si conclude il Day 1 tornando nel Tent e tornando nel death metal. E se gli episodi precedenti hanno mostrato una certa pulizia di fondo all'interno di un panorama carico di potenza, quando assistiamo al set dei Tenebro ci viene mostrato tutt'altro: immagine da sporchi e luridi individui ultimi della scala sociale, voci profondamente gutturali al limite del suino, suoni presi dalle più sporche ed inquinate fabbriche di carbone, diretti a spargere autentica melma fetida. Nel costruire l'immaginario del cinema horror anni ‘70, sulle orme dei Fulci ma molto più vergognosi scenicamente, i Tenebro risultano adatti ad un pubblico che vuole essere coinvolto e subire il male odore provenienti dagli scarichi fognari della band. E sicuramente, un ottimo modo per concludere l'intensa giornata.
VENERDI' 15 AGOSTO
Purtroppo, per impegni personali, non abbiamo potuto assistere ai set degli Xenos A.D. e dei Dewfall, ma riusciamo a dirigerci presso il Tent Stage in orario per la performance dei Feral Forms.
La band friulana dei Feral Forms propone un death metal piuttosto tradizionale ed incisivo, che col tempo, tuttavia, si dimostra essere povero di cambiamenti e di spunti di originalità, rimanendo piuttosto centrati su una melodica unitaria che, alla lunga, tende a perdere un po’ il filo dell’attenzione.
La giornata di venerdì è una giornata dedicata particolarmente a quelle proposte black metal che non siano quelle sfuriate tradizionali ed oltranziste, ma che lasciano spazio a certi tipi di atmosfere capaci di suggestionare il pubblico e alzare il livello di gravità verso quote non percepibili. La prima band del Main Stage sono gli inglesi Winterfylleth, alla loro prima assoluta sul suolo italiano. Senza alcun tipo di coreografie, face painting ed altre tipiche immagini black, la band propone un black metal atmosferico molto incisivo, con lo scream di Chris Naughton sempre puntuale e carico di pathos, ed il resto della band sempre concreta nella proposta di brani che premiano soprattutto l’ultimo arrivato ‘The Imperious Horizon’. Inoltre, la band si dimostra sempre molto partecipe nei confronti del pubblico, chiedendo sempre supporto. Si spera che arrivino altre occasioni per vederli in Italia per godere di concerti di questo tipo.
Si torna in Italia con una certezza assoluta del doom nostrano, che da molti anni calca i palchi italiani lasciando ogni volta dei solchi profondi. I romani Doomraiser non tradiscono le aspettative, e nel presentare il nuovo lavoro ‘Cold Grave Marble’, lo fanno con la consueta forza che contraddistingue la band di Nicola Rossi, che con la sua voce e la sua mise borchie-munita trafigge i presenti a suon di classico doom. Una band in cui credere sempre.
Si torna in territori black e si va in Canada ad assaporare la massiccia poderosità dei Panzerfaust, presenti nella loro consueta veste da guerrieri in epoca post-atomica, dediti al loro fondamentalismo black. Il loro show, come ampiamente prevedibile, è carico di bordate scagliate soprattutto dalla batteria di Alexander Kartashov, su cui l’assalto frontale capitanato dal monolitico Goliath è pronto a scoccare armi infuocate che scuotono i presenti.
Dall’Austria arrivano questi quattro ragazzotti degli Insanity Alert, che con il loro irriverente punk-hardcore venato di Oi! fanno letteralmente alzare il prato del Tent Stage grazie a dei brani e alle immagini puramente rivolte a dare contro ad ogni tipo di estremismo, dimostrando che non c’è posto per ipotetici soggetti non graditi e nostalgici della prima ora. Il cantante Heavy Kevy si dimostra ottimo intrattenitore e approfondisce in maniera appropriata ciò che le frasi impresse nel videowall sintetizzano. Un gran bel momento di euforia.
Un gran pezzo di storia dello stoner rock, dal punto di vista dei live in Italia, finisce qui, e la carriera gloriosa di Ben Ward e degli Orange Goblin, che in un’oretta scarsa di set hanno ripercorso gran parte della loro discografia, con un Joe Hoare alla chitarra in forma perfetta, contribuendo in maniera molto positiva alla riuscita dello show, e un Ben Ward che, probabilmente, non è stato particolarmente incisivo alla voce, ma che ha compensato tutto con i suoi continui incitamenti alla folla, che è conseguentemente risultata molto partecipe ed euforica. Come del resto succede, è sempre un peccato che queste realtà scrivano la parola fine alla loro carriera, ma probabilmente avevano capito che hanno dato tutto quello che potevano dare in più di vent’anni di carriera.
Quello che contraddistingue, e in qualche modo facilita la fruizione del black metal moderno è la propria rinnovata capacità di essere un sottogenere ampiamente orecchiabile e fruibile, sia nelle parti vocali che strumentali. La prova dei tedeschi Groza lo dimostra, e aldilà del loro look incappucciato ormai ampiamente sdoganato anch’esso, la loro musica risulta essere trascinante e debitore dell’insegnamento di mostri sacri ormai divenutisi come i polacchi Mgla. La voce di P.G. risulta essere tonante e squillante nel richiamare a raccolta il pubblico, e le melodie della band sono quindi riconoscibili, nonché sferraglianti come ogni band black metal impone.
Una certa attesa ha permeato il live dei norvegesi Leprous, divenuti ormai tra le personalità di punta del prog europeo. Tutti gli album hanno sempre mostrato qualità e una certa dose di originalità con il passare degli episodi. Tuttavia, almeno per chi scrive, in sede live si è notata una certa, anche se debole, propensione ad adagiarsi sui loro allori, cercando di svolgere poco più che il compitino, a causa di un sound che si è dimostrato piuttosto freddo. Nella serata del Frantic sembra che possa succedere di nuovo questo effetto, e per buoni sprazzi della prima metà di show, nonostante l’impegno anche coreografico della band di Einar Solberg (come sempre impeccabile nella sua performance vocale), sembra che la band non riesca ad emergere in modo pieno rendendo lo show anche emozionale. Con brani come “From The Flame”, “Alleviate” e “the Sky Is Red”, la band invece è riuscita a raggiungere, anche se con qualche fatica, lo stato d’animo dei presenti, rendendo quindi in generale lo show piuttosto buono, anche se non totalmente esaltante. Si spera che un po’ si torni all’energia degli anni passati.
Si conclude la seconda giornata del Frantic in maniera molto adagiata, con il metal atmosferico a tinte folk dei finlandesi Hexvessel, che hanno proposto melodie capitanate dalla nenia folk di Matthew McNerney che sono risultate alquanto coerenti con la sensazione di scarico dopo un’ulteriore, intesa, giornata di metal. Buone sensazioni si sono comunque raggiunte, anche se sembrerebbe che la loro proposta sia forse più adatta ad un ascolto più tranquillo ed in contesti più intimi, per non dire addirittura a casa rispetto ad un concerto live. Una band sicuramente da conoscere, ma forse non adatta a tutti i contesti.
SABATO 16 AGOSTO
Nell’ultima giornata dell'edizione 2025 del Frantic Fest le temperature pomeridiane, come di consueto, possono raggiungere cifre molto alte, e allora cosa c’è di meglio di immergerci sotto il Tent Stage ad assaporare le atmosfere torride e nauseabonde degli Zolfo? La band sludge-doom pugliese affievolisce le già residue speranze di resistenza dei presenti dopo due giorni intensi di metal con le loro sonorità talmente pesanti ed opprimenti che hanno la consistenza di un carro armato. Le note sono molto basse, a cui la voce stralunata di Dave fa da cantore perfetto per stendere i presenti. Anche quando il microfono non vuole saperne di stare al proprio posto, Dave ha necessario bisogno di esprimersi come può, sudando e urlando come un animale. E si comincia con la giusta pesantezza.
Pesantezza che viene solo leggermente affievolita, rimanendo pur sempre su sonorità pregne di consistenza, con i romani Invernoir. La band doom-death romana ha alle proprie spalle due album ed un EP. L’ultimo album ‘Aimin’ for Oblivion’ è dell’anno scorso e vengono proposti al Frantic alcuni brani che dimostrano come siano fedeli ai capostipiti scandinavi del genere, come ad esempio Katatonia e Insomnium. Anche in questo caso, una prestazione convincente e particolarmente pulita, con un Alessandro Sforza sugli scudi.
Dopo la pausa per lo svolgimento del consueto gioco SaraPanda, sempre sul Tent Stage le sonorità, questa volta, aumentano di molto la frequenza, solcando il cammino di giornata del death metal, di gran lunga il genere metal più presente all’interno del festival. A differenza, però, del death metal tradizionale, e memori della performance dell’anno passato dei Gutalax, anche quest’anno viene proposta una band più vicina al gore-grind e molto dedita al casino più sfrenato, dove gonfiabili ed oggettistica varia volano come non mai. Questa proposta viene portata a compimento dai belgi Brutal Sphincter, che nel genere risultano essere, dal punto di vista tecnico, tra le band più apprezzate e maggiormente efficaci. Questa veloce valutazione è testimoniata anche dal buon apprezzamento ottenuto per il loro ultimo album ‘Sphinct-Earth Society’ uscito quest’anno. Ovviamente, la tecnica fa il paio con l’ignoranza più evidente, guidata sapientemente di Major Diarrhea e di GG Stalin, che tengono le redini della folla in modo impeccabile. Da segnalare, oltre a tutte le varie e bizzarre situazioni avvenute, un originale pogo tutto al femminile durante un loro brano, chiesto espressamente dalla band.
Inizia la giornata al Main Stage con una band molto apprezzata dai fan di questa porzione di territorio, benché la band in questione sia originaria di Torino. I Bull Brigade propongono in rock in chiave punk tutto cantato in italiano, che ha fatto sicuramente breccia tra i presenti ed ha creato la giusta atmosfera per scaldare lo spazio per le band che sarebbero venute più avanti. Tanti dei presenti hanno cantato i testi a squarciagola, donando il giusto apprezzamento e il giusto ringraziamento.
Si torna a parlare di death metal con i romani Devangelic, questa volta andando su terreni più convenzionali. Le ritmiche si fanno serrate e le temperature nel Tent Stage rimangono sempre elevate. Il growl di Paolo Chiti risulta essere bello cavernoso, e la band non lascia spazio a pause varie. Sicuramente, uno show di impatto.
In molti aspettavano il ritorno sui palchi italiani dei danesi Saturnus, tra gli alfieri di un doom atmosferico mai fin troppo valutato a dovere, nonostante siano qualitativamente tra i maggiori esponenti del genere. La band, durante il loro set, è stata praticamente perfetta, con tutte le note al punto giusto, le parti vocali di Thomas Jensen inserite con i giusti tempi e le tonalità più adatte, e con le tastiere di Mika Filborne a generare uno scorcio paesaggistico ed atmosferico di primo livello. Sulle note di “I Long” e di “Forest of Insomina” la gente ha letteralmente lievitato da terra, rendendo il set molto probabilmente il migliore a livello emozionale di tutto il festival. Risulta, pertanto, necessario per continuare la vita in maniera degna un loro ritorno live in Italia, possibilmente con un nuovo album. Prestazione superba.
Se il death metal dei Devangelic è stato di sicuro impatto, i finlandesi Galvanizer decidono bene di aumentare ulteriormente la velocità della propria musica, andando letteralmente dritti per la propria strada, senza deviazioni alcune. Il risultato è stato quello di un death metal assolutamente trascinante, con tutti gli strumenti assestati nel dare una scarica di colpi infernale. Ed ovviamente il pubblico del Tent ha apprezzato con una serie di pogo senza sosta. Tra le migliori prestazioni death del festival, in attesa del main event della serata.
Chiamati in sostituzione dei Black Flag (o comunque, di coloro che ne erano rimasti), i Buzzcocks, tra gli esponenti più apprezzati di un certo punk-garage britannico da ballare, accolti in prima battuta un po’ in sordina si sono invece rivelati più attivi di quanto ci si aspettava. Anche se ormai non c’è più Pete Shelley, le redini della band date a Steve Diggle sono state ben maneggiate, lavorando con cura ogni presentazione del brano e facendo gradualmente smuovere la gente con delle sonorità magari non perfette, ma cariche di passione. Alla fine, apprezzati anche loro.
Si torna in territori death metal con gli spagnoli Avulsed, band storica da più di trent’anni sulle scene, che hanno mantenuto l’alta media qualitativa del genere proposto al Frantic Fest con un set molto rumoroso e parecchio coinvolgente, maggiormente incentrato sul nuovo album ‘Phoenix Cryptobiosis’. Il tutto per preparare le membra e la pellaccia per la band che verrà.
Nel Main stage entra in scena la storia, e quando la storia si ripete gli adepti obbediscono. La band di Jeff Walker e di Bill Steer, nella loro ora a disposizione, ovviamente non lascia superstiti, e il loro mix di generi tra thrash, death e grind risulta essere un cocktail perfetto, come pochi come loro sanno preparare. Forse la gente avrebbe apprezzato un brano in più, ma oltre a questo nulla si può chiedere a delle personalità come i Carcass.
Si chiude questa edizione del Frantic Fest (al netto del Frantic Off del giorno dopo con protagonisti i Fast Animals and Slow Kids) tornando sul suolo italiano con il gothic-doom dei romani The Foreshadowing, che interpretano prevalentemente i brani dell’ultimo album ‘New Wave Order’, che rispetto ai precedenti dischi risulta maggiormente dedito a sonorità care proprio alla new wave, seppur di base gothic come sempre. Attualmente la band sta tornando sulle scene live in modo abbastanza diradato, e sta presentando piano piano i brani del nuovo album. Con la presenza di Gabriele Giaccari degli Shores of Null alla chitarra, la band presieduta dalla consueta voce evocativa di Marco Benevento con la sua presenza calma, ma distintiva, ricopre le atmosfere ormai notturne del Tikitaka Village ricama ogni singolo pezzo con la dovuta saggezza e maestria, non disdegnando tuttavia momenti di pura forza metallica. Si chiude quindi nel migliore dei modi questa edizione mantenendo le più alte aspettative, grazie ad un’offerta talmente varia e non scontata che riesce a fare breccia tra gli appassionati.
Commenti